Il mio sistema per ordinare la libreria casalinga ha già mostrato qualche falla. In realtà probabilmente non è colpa del sistema, che a mio avviso è interessante (letteratura per ragazzi, italiani, stranieri, saggistica – all’interno degli scaffali si va in ordine alfabetico – fumetti, libri al quadrato), ma della stanchezza che avevo accumulato mentre sistemavo gli scaffali. Ad ogni modo stavo dicendo che il sistema ha mostrato una falla: in mezzo alla saggistica, era rimasto nascosto il mio L’Aleph di Jorge Luis Borges.
Mi ero meravigliata di non averlo trovato, in realtà era rimasto incastrato (schiacciato, nascosto) dentro le pagine di un altro volume ben più grosso (Il dizionario dei Film di Mereghetti)… Non so come sia successo, ma tant’è. Mi ero dispiaciuta e non solo per il libro in sé, ma soprattutto perché quel libro è (insieme al cd Ko de mondo dei C.S.I.), il custode di un ricordo di una lunga estate da adolescente insieme al mio amico di sempre Livio e a quello che proprio durante quell’estate diventò il mio amico Alex. Un’estate fantastica, indimenticabile… Di quelle memorabili che si raccontano ai figli quando sono diventati grandi abbastanza.
Ma torniamo al libro, la raccolta di racconti firmata dal più (forse) eccentrico e (sicuramente) più influente scrittore argentino del XX secolo. Solo così potrò raccontarvi dell’idea di immortalità, del labirinto e del tempo infinito (tutte tematiche molto care a Borges) di cui si racconta ne L‘Aleph.
Raccontare una raccolta di racconti è sempre complicato, in questo caso ancora di più visto che definirla solo “raccolta di racconti” è riduttivo. L’opera di Borges, infatti, è un microcosmo composto da 17 storie (nella prima edizione del 1949 erano 13, divennero 17 nel 52), dove ogni storia è un mondo, o meglio il condensato di un mondo, che si collega agli universi che lo seguono e lo precedono in una concatenazione di temi ricorrenti (lo specchio, il doppio, la colpa e la ricerca di riscatto, il dolore, il destino, la pazzia, la morte, l’irrevocabilità del passato…) attraverso i quali l’autore indaga l’insondabile mistero dell’esistenza umana, concentrandosi sui suoi paradossi.
Si tratta di situazioni fantastiche (non nel senso comune del termine), ma narrate con il linguaggio e i tempi asciutti di chi scrive fatti di cronaca. La vicenda è riempita di rimandi fittizi alla realtà e per questo il lettore si sente preda del nonsenso, disorientato, sospeso in un universo tra norma e assurdo, tra ordine e caos. E tutto questo fa girare la testa.
I temi sono assoluti, il linguaggio evocativo, il carattere metafisico e filosofico, gli universi fantastici (ma governati dalla logica e definiti sia in senso spaziale, sia in senso temporale), le trattazioni misteriose, struggenti e oniriche, e i personaggi diventano simboli e ogni storia (mai fine a stessa) metafora ricollegata al mondo attraverso significati che sta al lettore scoprire attraverso riflessioni necessarie per Leggere davvero quello che Borges ha voluto raccontare ne L‘Aleph, il luogo misterioso dove si concentrano tutti i tempi e tutti i luoghi.
E quindi, evviva per il ritrovamento e grazie (sempre e per sempre) ad Alex per avermi regalato questo libro. I dettagli di quell’estate fantastica li tengo per me, ma oltre quello che state immaginando, avrete intuito che è stata anche un’estate fatta di tanti libri, tanta musica, tante conversazioni filosofiche, tante discussioni politiche, tante notti in camera oscura a sviluppare foto in bianco e nero (anche insieme a Giorgio) e tante giornate passate a scattare le foto da sviluppare. Davvero un’estate fantastica 😀
C
(L’Aleph di Jorge Luis Borges, Feltrinelli, pag. 182, euro 10)