Tornare al CUB – Castello Ursino Bookshop ha dei vantaggi incredibili: fra i tanti, certamente anche quello di poter accedere a una grande disponibilità di titoli e – senza alcuna fretta – sceglierne diversi in cui immergersi. Durante il mio ultimo turno, per esempio, ho cominciato a sfogliare Il cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci, finalista al Premio Strega 2016. Ad attrarmi, in questo caso, è stata la frase che campeggia in bella mostra sulla quarta di copertina, non una trama – come di solito accade – ma un pensiero evocativo che mi ha conquistata e che mi ha spinta a cominciare la lettura del libro: «Se si potesse dire amore in cinghialese: se si potesse dire amore in qualsiasi lingua».
Il romanzo è ambientato in un paesino immaginario (Corsignano) dove tutto procede come sempre: perone che lavorano, donne che tradiscono i propri compagni, uomini che persona una fortuna a carte. Ci sono i ricordi di alcuni degli abitanti di questo paese – collocare tra Toscana e Umbria – come per esempio l’anziana signora che racconta del giorno in cui fu abbandonata sull’altare, e le “avventure” di altri… come per esempio le peripezie delle due sorelle che eccellono nell’arte della prostituzione. E poi c’è una comunità di cinghiali che scorrazza nei boschi. E uno fra questi cinghiali, Apperbohr, misteriosamente, diventa intelligente, capace di elaborare pensieri degni di un essere umano, come per esempio la riflessione sulla morte, e di comprendere e usare la parola. Questa sua condizione, però, lo porta a trovarsi solo: troppo umano per essere considerato un cinghiale e troppo cinghiale per essere accolto dagli esseri umani… E la sua solitudine diventa ancora più drammatica e struggente quando lui stesso si innamora di una sua ex-simile. Allo stesso tempo, però, questa capacità acquisita lo rende in grado di leggere nel cuore degli abitanti di Corsignano ed è allora che la stranezza di questo evento si fa ancora più “strana” perché non esiste mistero più insondabile dei sentimenti umani.
Apperbohr è tenero e fiero, maestoso e vulnerabile. Il romanzo non lascia scampo al lettore. Le vicende che si sviluppano tra il 1999 e il 2000 sono ricche di percezioni sensoriali che si sentono sulla pelle e si fiutano con il naso, che fanno venire l’amaro in gola e bruciano gli occhi come il sole d’estate. Si va avanti per flashback e flash forward, riprendendo lo stile del film cui fa riferimento il titolo (L’uomo che uccise Liberty Valance di John Ford, 1962), ma abbandonandosi alla lettura di questi frammenti di storie che via via si compongono non è più possibile staccare gli occhi dal libro. E dal punto di vista linguistico è bellissimo, ricercato, divertente e incredibile insieme: provate voi a studiare il cinghialese!
Carla
(Il cinghiale che uccise Liberty Valance di Giordano Meacci, Minimum Fax, pag. 452, euro 16)