Questo è un autoregalo che mi sono fatta sotto Natale, quando su richiesta di mia madre ho acquistato una copia di La Vegetariana di Han Kang per una sua amica… E dopo averne ascoltato il racconto di mia madre e averne letto la quarta di copertina ne ho acquistato una copia anche per me.
Il libro, che ha vinto il Man Booker International Price 2016, ha un titolo un po’ fuorviante (anche se si tratta dell’esatta traduzione del titolo originale inglese e anche se fa riferimento alla sua protagonista, la vegetariana… appunto). La storia è relativa al come nel corso di una sola notte la protagonista decida di non mangiare più carne (e se possibile anche di non vederla più). Diversi personaggi e un narratore spiegano la sua scelta. Ma la risposta di Yeong-hye alla domanda “Perché” è sempre, solo ed esclusivamente “Ho fatto un sogno”. E da vegetariana Yeong-hye diventa prima vegana e poi inizia il digiuno. Smette di dormire la notte per non tornare a quel sogno (così vivido da sembrare reale, almeno così raccontano le parole di coloro che riportano quanto detto da Yeong-hye), non si ciba di nulla di diverso dall’acqua e dalla luce e nel delirio che raggiunge arriva a credersi un vegetale.
Nei tre capitoli che compondono il romanzo, ciascuno dei personaggi che si fa di volta in volta narratore focalizza la ragione che avrebbe spinto Yeong-hye a fare questa scelta… Questo anche perché nella società sud-coreana, essere vegetariani è mal visto. Così, nel primo capitolo è il marito di Yeong-hye a parlare, ma la sua inettitudine (e il desiderio di non fare brutta figura davanti ai propri capi) lo spingono a gustificare la moglie farfugliando qualcosa circa una dieta imposta dai medici per problemi di salute. Nel secondo capitolo, il cognato -artista visuale – legge il fenomeno in chiave mistica, mentre nel terzo capitolo la sorella In-hye, moglie dell’artista, riconduce le scelte di Yeong-hye (che nel frattempo è ricoverata in una clinica, dove è creduta anoressica, schizofrenica e catatonica) alla terribile storia famigliare determinata dalla violenza del padre.
Non sapremo perché Yeong-hye abbia smesso di mangiare. Una scelta dell’autrice per spingere il lettore a trovare la propria verità in questo vuoto narrativo. Non a caso, allora, gli sguardi sulla protagonista che Han Kang ci mostra sono in contrasto tra loro e non a caso la protagonista è sempre e solo raccontata da altri. L’autrice vuole che sia il lettore a dare il volto della protagonista e a segnare i confini di questo vuoto narrativo. Il motivo per cui, secondo la critica, è difficile incasellare il romanzo in un unico genere letterario.
Nonostante l’angoscia che ha sollevato (che in questo periodo non mi serviva proprio) il romanzo è bellissimo.
Carla