Questo manga l’ho scoperto grazie a mio fratello Antonio, anche lui divoratore di fumetti e mio iniziatore di genere. Ho cominciato a leggere fumetti quando ero piccolissima. Topolino, il Corriere dei Piccoli (anche le raccolte che mio papà aveva fatto da ragazzo), Snoopy (una rivista settimanale che uscì verso la fine degli Anni 80 e fino a metà degli Anni 90), le strisce dei Peanuts, le strisce di Mafalda, Asterix; poi, più grandicella, le altre strisce di Quino, gli Sturmtruppen, e i Dylan Dog che leggevo di nascosto (perché mio fratello temeva che io potessi impressionarmi troppo), i vari supereroi della Marvel… E poi ancora (questa volta spacciati dal mio amico Edy) Ratman, Alita, Sandman…
Nel frattempo a casa mia sbarcavano i manga: Dragon Ball, Ranma 1/2, Lamù, Ken Shiro il Guerriero, Deathnote, la “robot collection” di Go Nagai (Ufo Robot/Goldrake, Mazinger, Jeeg) e poi anche DevilMan… L’opera omnia di Masakazu Katsura (DNA2, Video girl Ai, Shadow Lady, Zetman, Present from Lemon…), Lady Oscar (letto di straforo), Occhi di gatto (letto altrettanto di straforo) e, così, arrivò anche City Hunter sempre di Tsukasa Hōjō. In realtà, mio fratello adesso sostiene di aver comprato per sé la serie completa del fumetto – io ovviamente ricordo diversamente – ma tant’è che questa collezione la conservo io, anche abbastanza gelosamente. E forse anche io fratello nel tempo si è ricordato che questi acquisti erano per me… Visto che come regalo di Natale, qualche anno fa, mi regalò tutti i numeri fino a quel momento pubblicati dello spin-off creato da Hōjō, dopo il successo di City Hunter: Angel Heart.
E dopo queste memorie da fumettofila, veniamo a City Hunter. E diciamo subito che non è per niente un fumetto adatto ai bambini viste alcune peculiarità “particolari” del protagonista e dello humor a queste direttamente connesso: attraente e dal fisico scultorio, infatti, il protagonista non riesce mai a conquistare le proprie fiamme per via di temuti atteggiamenti da maniaco e incontrollabili “mokkori” (ossia erezioni, ma con una buffa accezione) che avvengono nelle situazioni meno attese anche alla semplice vista di un paio di mutandine o di un reggiseno. Il fumetto è incentrato sulle avventure di Ryo Saeba e Kaori Makimura (che insieme formano City Hunter, una sorta di gruppo indipendente che può essere assoldato – semplicemente scrivendo sulla bacheca della stazione di Shinjuku le lettere XYZ, come segno di ultima risorsa – come guardia del corpo e investigatore privato.
Il passato di Ryo è avvolto nel mistero; lui stesso non conosce le proprie origini e neanche la sua vera età, sa solo che da bambino è sopravvissuto a un incidente aereo in cui morirono i suoi genitori. Ryo è stato cresciuto come guerriero mercenario, un’educazione di cui ha fatto mestiere divenendo uno sweeper a Tokyo. Fosse per lui – e considerato il suo status di pervertito libidinoso, che comunque va puntualmente in bianco – Ryo accetterebbe solo casi offerti da belle donne in difficoltà cosa che, però, la sua assistente Kaori tenta di impedire. Ed è proprio intorno alla figura di Kaori che il Hōjō costruisce una lunga serie di esilaranti sketch che mescolano all’azione, lo humor e il lato erotico (tanto amato dal mangaka): dal fatto che Kaori (che porta i capelli corti e ha i modi di un ragazzaccio) viene spesso scambiata per un uomo, alla violenza irosa con cui si scaglia contro Ryo, soprattutto quando importuna le donne (i suoi martelli da 100 o 250 tonnellate, che spuntano fuori da non si sa dove, sono memorabili).
Ovviamente c’è molto di più. Dalla galleria di personaggi divertenti (alcuni simili alla precedente serie Occhi di Gatto) alle avventure che – pur non svolgendosi secondo un rigoroso ordine cronologico, man mano ricostruiscono il passato di tutti i personaggi. Ma non voglio dire nulla di più, sia perché non ha molto senso raccontare uno degli episodi del manga, sia perché non è solo nel racconto che sta il fumetto, ma – ci pare ovvio – anche nelle chine e nei retini, nel disegno e nelle scale di grigi in cui è stato realizzato il fumetto.
Adesso un po’ di curiosità: City Hunter è anche un anime di successo (che conta circa 150 episodi) e un film interpretato da Jackie Chan. Ho appena scoperto che esiste una specie di Ken con le fattezze di Ryo Saeba, al quale è possibile sostituire mani e testa per fargli assumere l’espressione seria e professionale da sweeper, o quella ridicola da maniaco sessuale. In Giappone, la serie è prima uscita su un periodico e poi è stato raccolto in 35 tankobon (ossia volumi in brossura del formato classico dei manga 13×18). Il manga è stato pubblicato in Italia dalla Star Comics, testata Starlight, in 39 volumetti (i primi numeri erano di dimensioni minori rispetto ai corrispettivi giapponesi). Adesso è disponibile una ristampa (Panini Comics – Planet Manga) che presenta non poche differenze con la precedente: le prime pagine di ogni episodio sono a colori che sfumano verso i toni del rosso, e quindi verso la scala di grigi di cui parlavo prima; la traduzione ha preferito mantenere alcuni originali giapponesi, le onomatopee per esempio sono dei semplici ideogrammi (che – però – non tutti capiscono) e per tornare e chiudere proprio sul “vizietto” di Ryo nella ristampa Panini si legge l’originale “mokkori” invece del divertentissimo “driz” scelto dalla Stracomics.
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