Ladies and gentlemen… siamo liete di presentarvi una nuova Matta per le Matte! Il suo nome è Maria Concetta Trovato – appassionata delle Matte da Leggere – da quando il caso le ha fatto incontrare C.
Era una notte buia e tempestosa. Una notte sopraggiunta dopo un lungo (ma che dico lungo, lunghissimo) pomeriggio di ansia da prestazione. Si svolgeva il concorso per il XXVIII ciclo di dottorato di ricerca dell’Ateneo Catanese. Al Monastero dei Benedettini, la tensione si tagliava con il coltello e dentro l’aula d’esame si sentiva tuonare la commissione… Ma C e Maria Concetta chiacchieravano amabilmente insieme a Marzio (che ormai conoscete), a Maria Grazia (che non conoscete, ma si tratta della mamma di Maria Concetta) e a qualche altro sporadico partecipante a quella conversazione… Il Phd se lo sono aggiudicato tutte e due. Maria Concetta, ça va sans dire, con un progetto di ricerca su Cesare Pavese… Una passione e un amore, tramutatosi in studi da cui sono nati saggi che hanno permesso a Maria Concetta di aggiudicarsi il Premio Cesare Pavese Giovani – Sezione saggistica. Non a caso, allora, oggi ci racconta dei Dialoghi con Leucò.
L’uomo mortale, Leucò, non ha che questo d’immortale. Il ricordo che porta e il ricordo che lascia.
C.PAVESE
Ogni volta che mi si chiede di raccontare il “mio” Cesare Pavese, ho un po’ il timore di somigliare ad una di quelle madri pedanti che non fanno altro che dire quanto siano belli e bravi i propri figli. Poco conta, anche in questi casi che a far tanto parlare sia il troppo amore. Come se non bastasse, poi, quando un autore lo si studia da diversi anni, si corre sempre anche il rischio opposto, e cioè che il nozionismo finisca per avere la meglio sull’emotività.
Per questo ho indugiato un po’ prima di raccogliere la bella proposta fattami da C. Era troppo allettante perché potessi rifiutarla, ma, al tempo stesso, volevo essere ben certa di riuscire a far cogliere a voi, amici matti per la lettura, tutto il pregio intellettuale e letterario di una figura che, sebbene rientri a pieno titolo tra gli autori canonici del primo Novecento, paga ancora, per alcuni versi, lo scotto di una lunga e sostanziale incomprensione.
La modesta conclusione a cui sono pervenuta, e che spero vogliate condividere quest’oggi con me, è che per certi autori valga particolarmente quel che Wilde, o chi per lui, direbbe a proposito delle donne, ovvero che, per poterne cogliere il lato migliore, non sia tanto necessario comprenderle, quanto soprattutto amarle.
E dato che, come Kafka, considero certi libri «un’ascia per il mare ghiacciato che è dentro di noi», ho scelto di cominciare dall’opera apparentemente più ostica tra quelle di Pavese e che, forse proprio in virtù della loro presunta “oscurità”, il Nostro più amava, ovvero i Dialoghi con Leucò, composti nel 1947, al culmine di un tormentato iter storico e personale.
La prima difficoltà è data dal definirne il genere: che cos’è questo smilzo libricino? Non si tratta di un romanzo in senso stretto (anche se come tale viene considerato dalle logiche editoriali), né di un racconto o di un testo in versi. Che sia intrinsecamente poetico, suadente e tragico, però, non ci sono dubbi.
La seconda, che ne costituisce anche la bellezza, è data dagli altissimi contenuti filosofici ed esistenziali distillati tra le sue pagine: i veri protagonisti di questi ventisette brevi dialoghi, (non più di quattro o cinque pagine ciascuno) sono, infatti, personaggi noti e meno noti del mito grecolatino, grazie ai quali Pavese, confermandosi regista abile e silenzioso, mette in scena nient’altro che il novecentesco teatro dell’Essere Umano che non smette di interrogarsi su di sé, sulla propria spiritualità e sul mondo irragionevolmente titanico del quale fa parte. E rivela senza più timori, nelle parole, ora di Orfeo, ora di Saffo ed Esiodo, tutta la difficoltà di chi nasce poeta, e con gli altri (o degli altri) vuol fare poesia.
Ecco perché mi piace pensare il Leucò come un duplice omaggio, da un lato a quelle radici classiche delle quali con tanta disinvoltura oggi ci si dimentica, o sulle quali, per dirla con lo stesso Pavese «sbadigliamo un sorriso», e, dall’altro, a quella Parola dialogica che, a saperne fare buon uso, potrebbe, oggi come allora, «trattenerci dall’abisso» – Pavese ancora – della reciproca incomprensione.
In ultimo, veniamo al titolo: come ogni scrittore che si rispetti, anche il nostro Cesare non avrebbe mai potuto prescindere dall’invocare una Musa, specie se affascinante, colta e innegabilmente mediterranea com’era la sua di quegli anni. È anzi proprio l’incontro, infelicemente sentimentale prima, e proficuamente intellettuale poi, con Bianca Garufi, futura psicanalista, junghiana di formazione e messinese d’origine, a suggerirgli l’idea di questo libro, così lontano da tutte le sue esperienze narrative precedenti. Come già Pavese, lascio anch’io a Leucotea, suo alter ego mitico, nonché alla vostra curiosità, se sono riuscita ad accenderla, il compito di accompagnarvi nella terra mai abbastanza esplorata del mito e mi auguro che questo sia il mio primo intervento di una lunga, lunghissima serie.
Maria Concetta Trovato
(Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese, Einaudi, Pagg. 248, euro 10,50)