Spuntando la lista della biblioteca delle menzogne, mi sono accorta di non aver mai recensito uno fra i miei libri preferiti, da sempre e per sempre: Il buio oltre la siepe di Harper Lee. In realtà, da ragazzina, ancor prima di leggere il libro avevo visto prima il film (1962) tratto dal romanzo, vincitore di tre premi oscar, con un magnifico Gregory Peck nel ruolo dell’avvocato antirazzista Atticus Finch. Avevo 11 anni e ricordo quel giorno come se fosse ieri. Avevo già visto Indovina chi viene a cena, ma l’impatto con la realtà raccontata nel film (e poi del libro) fu ancora più forte, quasi violento. C’erano alcuni passaggi della storia che non avevo capito, così la mia mamma andò verso la libreria e con mano sicura infilò una mano fra gli scaffali e pescò un libro copertina bianca e rossa e un’ immagine stilizzata. Mi disse di leggerlo e di chiederle tutto quello che non mi fosse stato chiaro. Ed è stato così che ho scoperto davvero il significato di xenofobia.
Il libro era stato pubblicato solo pochi anni prima (1969) e il titolo originale (To kill a mockingbird, Uccidere un usignolo) non ha nulla a che vedere con la traduzione italiana che ha preferito una metafora utilizzata in un passo del romanzo dove il “buio oltre la siepe” rappresenta ciò che è sconosciuto pur essendo vicino. Ma nel testo ci sono anche alcuni riferimenti al titolo originale: uccidere un usignolo, infatti, è considerato un grave peccato perché il volatile non si ciba di granaglie, ma di insetti e quindi è utile all’uomo. Il successo dell’opera della scrittrice statunitense fu globale e immediato, tanto che Harper Lee vinse il premio Pulitzer lo stesso anno. Certamente anche per i temi al centro del romanzo: il razzismo negli Stati Uniti degli anni Trenta, quando era ancora in atto la segregazione razziale, la paura del diverso, il pregiudizio… e la tolleranza e la fede nell’uguaglianza sociale tra bianchi e neri non esisteva (o quasi).
Il romanzo racconta la storia di Scout e Jem Finch, orfani di madre, che vivono in una piccola cittadina dell’Alabama col padre Atticus e la domestica di colore che li educa. Il padre è animato e ispirato da forti sentimenti antixenofobi. Non a caso, viene incaricato di difendere Tom Robinson, un giovane di colore accusato ingiustamente di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca. Scout e Jem sono turbati tanto dal processo nel quale è impegnato il padre, quanto da Boo (Arthur Radley), un vicino che vive recluso in casa probabilmente perché affetto da problemi caratteriali, pur non avendo motivi razionali per temere l’uomo. Le vicende si sviluppano rapidamente e i ragazzi assisteranno prima a un tentativo di linciaggio, poi al processo prendendo coscienza della xenofobia imperante nella società americana dell’epoca. Rischieranno la vita (ma non vi dico perché), ma verrano salvati (ma non vi dico da chi)… Imparando che il pregiudizio è la convinzione più sbagliata dalla quale prendere le mosse. La visione distorta della realtà, pur davanti all’evidenza, è il racconto triste del nadir del razzismo americano, quando la segregazione razziale era legalizzata soprattutto a causa del potere dei Democratici sudisti. Le leggi Jimmy Crow, che “regolamentavano” la discriminazione razziale dopo l’abolizione del Tredicesimo emendamento, perdurarono fino al 1960 quando grazie all’impegno di attivisti come Clarence Mitchell, Rosa Parks e Martin Luther King arrivarono le approvazioni del Voting Rights Act e del Civil Right Act (1964).
E ora veniamo alle curiosità. Il compagno di giochi dei due protagonisti, è modellato su un amico di infanzia dell’autrice, come del resto anche alcuni episodi dell’adolescenza di Harper Lee. Il padre della scrittrice era avvocato (proprio come Atticus Finch) solo che era di idee segregazioniste.
Ultima curiosità, questa volta personale. Ho ripreso il libro e ho cercato i miei “segni” di lettura (c’è stato un periodo in cui sottolineavo le frasi che avevo amato di più… Poi ho smesso, ma non so perché). E ho trovato tre frasi sottolineate, le mie citazioni preferite, con cui ho deciso di chiudere il post di oggi:
1) Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?
2) Aver coraggio significa sapere di essere sconfitti prima ancora di cominciare, e cominciare egualmente e arrivare sino in fondo, qualsiasi cosa succeda.
3) C’è una cosa, nel nostro paese, di fronte alla quale tutti gli uomini furono davvero creati uguali: un’istituzione umana che fa di un povero l’eguale di Rockefeller, di uno stupido l’eguale di Einstein, e di un’ignorante l’eguale di un rettore di università. Questa istituzione, signori, è il tribunale.
C
(Il buio oltre la siepe di Harper Lee, Feltrinelli, pagg. 317, euro 12)