Come vi ho raccontato qualche post fa, mio marito mi ha Kindlizzata. E – non pensavo che avrei mai potuto dirlo – sono felice di essere diventata anche un lettore digitale. Dico anche perché ci sono libri che – a mio avviso – si devono decisamente possedere su carta, titoli che sarebbe un peccato non possedere, non consumare sfogliandone le pagine. Ciascuno di questi libri ha un motivo per essere posseduto, alcuni per l’importanza stessa della pubblicazione, altri per il piacere che regalano per le meravigliose illustrazioni che contengono. Resto convinta inoltre che i ragazzi debbano abituarsi a leggere su carta, non su un lettore digitale di e-book… Quindi so anche che non abbandonerò mai completamente la carta e dunque non diventerò mai esclusivamente un lettore digitale, ma da quando possiedo il mio Kindle sono felice.
Sono felice per due ordini di motivi. Il primo è che risparmio un sacco, in termini economici e in termini di spazio per l’archiviazione (la ragione per la quale mio marito Marzio mi ha regalato il Kindle dopo lo sconforto causato dal trasloco e dalla difficoltà di ricollocare tutta la mia personale biblioteca); il secondo motivo è che, risparmiando, in realtà mi sto concedendo dei lussi che altrimenti non mi sarei mai permessa. Mi muovo molto più liberamente negli acquisti, molto spesso muovendomi semplicemente all’interno delle offerte lampo del Kindle store, e acquisto in maniera coatta tutto quello che è gratis o a prezzi popolari: per esempio tutti i classici della letteratura internazionale che ho deciso di scaricare in lingua originale (io leggo solo in inglese, ma va bene così) per concedermi il piacere di leggere le vere parole che l’autore aveva scelto per raccontare le sue storie. Ed è stato così che mi sono regalata un sacco di capricci: sto leggendo in contemporanea troppe cose, ma è così divertente poter cambiare libro senza neanche alzarmi dal divano che non ho saputo resistere. Sto leggendo “Alice nel paese delle meraviglie“, “Albion“, “Il giornalista haker“, “The Etimologicon: a circular stroll through the hidden connection of the english language” e “In un milione di piccoli pezzi” di James Frey.
E proprio di quest’ultimo vi voglio raccontare brevemente. Innanzitutto perché non me lo sarei mai concessa – se non fosse costato 0,99 euro e se non fosse stato accompagnato da una recensione che nella sua brevità mi ha conquistata. La recensione diceva qualcosa tipo “Frey è lo scrittore del XXI secolo, la sua scrittura tocca talmente tanto da strapparti le viscere”.
Generalmente non mi lascio conquistare dalle recensioni entusiastiche, ma questa volta – complice quel prezzo così basso e così invitante – mi sono fatta trascinare. E ho fatto benissimo perché la storia che James Frey racconta, dura e violenta da annodarti gli intestini – è il racconto in parte autobiografico di un uomo che si disintossica da droghe e alcool. Il protagonista ha 23 anni e si risveglia a bordo di una aereo senza neanche capire dove si trovi. Sente sapore di sangue in bocca, si rende conto di aver perso alcuni denti… Ma non capisce come sia finito lì sopra. All’aeroporto di Chicago ad attenderlo ci sono i suoi genitori – disperati e sbalorditi – che lo condurranno in una clinica di riabilitazione nel Minnesota.
Per il protagonista si tratta davvero dell’ultima chance per riconquistare la sua vita e regalarsi la possibilità di un futuro. Ma al di là della trama, quello che mi ha colpito e che continua a colpirmi pagina dopo pagina è la forza della prosa di Frey; e sin dalle prime pagine ho capito esattamente cosa intendeva l’autore della recensione che mi ha conquistata: nelle parole di Frey si legge tutta la disperazione di chi decide di mettere su carta la propria esperienza drammatica. E questo ancora di più che in altri casi, perché la prosa di Frey gode del lavoro che lo ha visto impegnato come sceneggiatore a Los Angeles. Il suo modo di scrivere e di disegnare i racconti sembrano proprio un film. Non si tratta solo di vedere il volto dei protagonisti di questa storia, si tratta piuttosto di vedere le inquadrature con cui James Frey ha deciso di mostrarci la sua narrazione, i tagli che ha deciso di dare alle scene, le digressioni che ha deciso di intercalare. Ed è anche per questo che chi legge “In un milione di piccoli pezzi” viene trascinato nel vortice di furia interiore che ha portato il protagonista (e l’autore) sulla strada dell’autodistruzione. Una testimonianza dura e sconvolgente con cui – per chiunque – è difficile fare i conti.
Ecco, sono felice perché se non avessi avuto il Kindle probabilmente questo libro che mi sta appassionando così tanto probabilmente non sarebbe mai capitato fra le mie mani. E quindi per me si tratta di una vera e propria grande fortuna.
Non ho ancora finito di leggere il romanzo. Sono circa a metà delle oltre 6000 pagine di e-book, ma non potevo trattenermi dal consigliare un libro che ha certamente il pregio di descrivere in maniera estremamente realistica, addirittura sbattendola in faccia, una situazione scioccante. E pochi libri hanno saputo farlo con tanta chiarezza, delineando cosa significa davvero smettere di bere o di drogarsi (soprattutto se la tua dipendenza dura da oltre 10 anni), affrontando e superando debolezze e paure che altrimenti ti impedirebbero di riprendere il controllo della tua vita. Per questo non è necessario arrivare all’ultima pagina, no?
C
(In un milione di piccoli pezzi di James Frey, Tea, pagg. 460, euro 10)