Il fatto che questo sia un capitolo primo è perché credo che il tema meriti di essere approfondito (magari da suggerimenti che vorrete dare per discutere di altre comparazioni). Già, perché questo è un dilemma che affligge tutti, lettori e non: meglio il libro o il film? Nella massima parte dei casi ci si sente rispondere: “Il libro”. Questo per svariati motivi, a partire dalle scelte di registi e sceneggiatori di cosa far vedere di un libro (sempre troppo lungo per poter essere raccontato per intero), fino a questioni “estetiche”: chi realizza un film, infatti sceglie un attore che dà volto ai personaggi che popolano le pagine dei libri, ma la scelta non può accontentare la fervida immaginazione di un popolo di lettori che immergendosi nel racconto vedono con la mente i loro beniamini e vagheggiano e fantasticano sulle loro caratteristiche e peculiarità.
Ciò non toglie, però, che i film in sé possano essere dei buoni prodotti, piacevolissimi passatempi e anche (perché no?) un gioco divertente da fare nel cercare (e scoprire) le differenze che animano. E quanti studenti approfittano dell’escamotage dell’ultimo minuto guardando il film per preparasi all’interrogazione sul libro di narrativa che non hanno letto?
Abbastanza fedele alle pagine di Umberto Eco è il film tratto da “Il nome della Rosa”. Interpretato da Sean Connery e Christian Slater e diretto da Jean-Jacques Annaud, nei titoli di testa della pellicola è scritto “tratto dal palinsesto del Nome della Rosa di Umberto Eco”… Come dire, insomma, due testi diversi senza la pretesa, né dell’autore né del regista, di fornire chiavi di lettura rispettivamente del film e del libro. Certo, le differenze ci sono. Alcune, anche rilevanti, da esigenze di sceneggiatura, per contenuti che se riportati nel cinema sarebbero risultati troppo complicati per gli spettatori (per esempio le lunghe digressioni storico filosofiche). Quello che ne risulta, è una visione più semplice, legata alla trama gialla che attraversa un contesto culturale complesso anche se questo comporta un cambiamento profondo del significato originario del romanzo.
Un’interessante storia compositiva dal punto di vista cinematografica è quella di “Dracula” di Bram Stoker. Quest’opera, uno fra gli archetipi del romanzo horror, ha avuto numerose versioni cinematografiche: il primo adattamento (che provocò, da parte degli eredi di Stoker, una causa per la violazione del copyright che obbligò il regista a cambiare i nomi dei personaggi) è “Nosferatu il vampiro”, film muto di Friedrich Wihelm Murnau da cui nel 1979 Werner Herzog trasse ispirazione per il remake “Nosferatu, il principe della notte”. Nel 1927 la storia fu adattata (da Hamilton Deane e John Balderston) per uno spettacolo teatrale a Brodway con Bela Lugosi ed Edward Van Sloan che nel 1931 interpretarono nuovamente i ruoli di Dracula e Van Helsing nella versione diretta da Tod Browning. In contemporanea a questa pellicola, venne girata anche una versione in lingua spagnola per la distribuzione in Messico, che utilizzò di notte gli stessi set che Browning utilizzava di giorno, ma un diverso cast artistico e tecnico diretto da George Melford… Ancora si dibatte su quale delle due versioni sia la migliore. Del 1958 è l’adattamento “Dracula il vampiro” con Christopher Lee e Peter Cushing: la prima volta in cui ci si dedica più alle potenzialità sadiche del mostro che ai suoi tormenti interiori… Un successo tale che per tutto il ventennio successivo farà dimenticare il conte Dracula di cui narra Stoker, con tutti gli agganci alle tematiche leggendarie, ma che genererà anche una lunga serie di pellicole (che prosegue ancora oggi) incentrate sul personaggio, comprese le parodie del genere fra cui non possiamo non citare “Per favore non mordermi sul collo” di Roman Polanski del 1967.
E adesso, alcune “insospettabili” trasposizioni. Non molti, sanno che “Caccia al ladro”, “Il sospetto”, “Psyco”, “La finestra sul cortile”, “Gli uccelli” e “Rebecca, la prima moglie” alcuni fra i capolavori di Alfred Hitchcock sono tratti rispettivamente dai racconti e romanzi omonimi di David Lodge, Anthony Berkeley, Robert Bloch, Cornell Woolrich e Daphne du Maurier. Anche in questi casi le differenze fra la scrittura narrativa e quella filmica hanno non poche differenze ne citiamo solo una – in “Psyco” – perché legata a una fra le scene più note del film: l’accoltellamento nella doccia. In realtà il libro è molto più violento del film… Se volete scoprire cosa succede “davvero”, leggete!