Qualche settimana fa, ricevo una mail da Leonardo (anche se io lo chiamo “Dino”, e molti altri lo chiamano “Leon”), un amico-collega di quelli che ti propongono sempre e solo cose belle, di quelli che si divertono a condividere con te “chicche” da comunicati stampa sulle quali ridere a crepapelle.
Nella mail, Dino mi proponeva di attivarmi per organizzare un mini tour di presentazione di un libro. Detto-fatto… E una nuova presentazione per le Matte da Leggere era già in calendario. Quindi, #savethedate, vi aspettiamo domani al Monastore di Officine Culturali alle 17:30.
Ho impiegato circa un’ora a entrare davvero nel primo romanzo di Mariacristina Di Giuseppe, Sale di Sicilia (Navarra editore). Avevo l’influenza quando ho cominciato e ho imputato la difficoltà al mio mal di testa… Ma la verità è che non ero concentrata a sufficienza per entrare immediatamente dentro il libro. Perché, per entrare dentro questo romanzo intriso dei sapori e degli odori siciliani, occorre trovarsi in quelle condizioni di silenzio desiderate da Italo Calvino. Non avevo mai capito questa esigenza, perché in realtà io leggo bene in qualunque condizione (con la musica nelle orecchie, in aereo, in treno, alla fermata dell’autobus, mentre cammino – non lo faccio più da molto tempo, dopo aver sbattuto contro un dissuasore mobile – in spiaggia), insomma, anche in mezzo al caos. Ma per Sale di Sicilia il caos intorno non va bene per niente. Occorre silenzio e concentrazione per poter sorbire con immenso piacere la prosa ricercata di Mariacristina Di Giuseppe, il suo linguaggio che lei stessa – in una nota – definisce «prolisso, umilmente manzoniano, desueto, fiorito di subordinate».
Dicevo (perché mi sembra di divagare) che ho impiegato quasi un’ora a entrare dentro il libro. Poi, come per magia, è accaduto. E ho ricominciato a leggerlo dall’inizio perché non volevo perdermi neanche una parola di questo romanzo che per il suo linguaggio – ci avvisa sempre l’autrice – le assomiglia: «Antica, fuori moda, marginale alla contemporaneità nonostante l’età non lo giustifichi, barocca e primordiale, piacevolmente afflitta, gravata, dalla teoria di infinita di pensieri che si accendono con le mie mattine, con le mie notti, per rispondere al richiamo delle provocazioni del mondo e dei suoi suggerimenti». E a guardare bene, quindi, anche il protagonista del romanzo, il giornalista Vittorio De Luigi, deve somigliare a Mariacristina perché i flussi di pensiero dove ci perdiamo (a volte), ma solo per ricongiungerci quando meno ce lo aspettiamo con un seguito inaspettato e insperato della vicenda.
Sale di Sicilia è ambientato a Palermo. Vittorio De Luigi è un giornalista cinquantenne che vedrà sconvolta la propria routine esistenziale dal suo coinvolgimento in un’inchiesta sui falsi d’autore in Sicilia. L’inchiesta (e le indagini) del giornalista prenderanno direzioni e pieghe inaspettate e lo porteranno afre i conti con la storia personale. Ma la vera e indiscussa protagonista del libro è indubbiamente l’Isola: simbolo di una frontiera non geografica ma dell’anima e medicina capace di guarire mali senza nome.
Non dirò nulla di più del romanzo che recensirò solo dopo la presentazione. Nulla di più se non che il romanzo porta lo stesso titolo di un lavoro discografico di Edoardo De Angelis (al quale appartiene anche la lirica “Spasimo” di Mariacristina Di Giuseppe) che sarà alla presentazione e che (forse) ci allieterà con qualche momento musicale. Nulla di più se non che la prefazione di Neri Marcorè (che all’inizio non mi aveva conquistata come mi sarei aspettata) descrive perfettamente l’andamento del romanzo: «Nel rapporto scrittore-lettore si innesca una sorta di corteggiamento… Alla fine si potrà dire di aver ballato insieme. Buona Danza».
E’ proprio vero, alla fine, mi sembra di aver danzato.
C
(Sale di Sicilia di Mariacristina Di Giuseppe, Navarra Editore, pagg. 213, euro 15)